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Catena per vacche
CATENE PER LE VACCHE (tséa)
La catena per le vacche (tséa) serviva a tener legato l’animale (vacca o bue) alla mangiatoia quando questo si trovava nella stalla. Attaccare la bestia alla mangiatoia (la rètse) si diceva “apèillé” e “lo rètsé” era l’asse al quale venivano assicurate le catene. La tséa era di ferro forgiato, composta da un numero variabile di maglie. La forma generale assomiglia a una Y: un primo tratto della tséa iniziava con una barretta (ardèillón o grénzón) munita di occhiello centrale in cui era fatto passare il primo anello della catena; l’ultimo era assicurato a uno snodo girevole che impediva alla catena d’intrecciarsi. Lo snodo terminava in un anello in cui erano infilati gli altri due tratti della tséa: di questi, uno terminava in un anello congiunto mediante due maglie a un anello precedente e, mediante altre due maglie, a un successivo. L’altro tratto di catena terminava in una barretta munita di occhiello centrale in cui, mediante un anello, passava l’ultima maglia del tratto. Posta la catena al collo dell’animale, la barretta veniva infilata nell’anello terminale dell’altro tratto, o in uno dei due anelli precedenti, a seconda della grossezza del collo. La barretta del primo tratto (quello singolo), invece, era fatta passare in un anello di ferro infisso nella mangiatoia, o in un foro praticato nell’apposito asse. In tal modo, l’animale poteva cibarsi, ma gli era impedito muoversi.
Lo malèficho: alle catene usate per legare le vacche è associato anche un antico costume magico: si credeva che alcune persone, come ad esempio le streghe e gli stregoni, fossero dotate di uno speciale potere “lo pouvouar dou malèficho” mediante il quale, toccando le mucche, avrebbero potuto interrompere il flusso latteo, oppure farle ammalare o abortire. Quando una mucca non dava più latte, o mostrava segni di una pericolosa inappetenza, le si toglievano dal collo le catene, le si arroventava fino al color rosso, poi le si batteva con un bastone preferendo il legno del frassino. Una volta fredde, si legavano di nuovo le catene al collo della mucca e alla mangiatoia. Si procedeva in questo modo perché si credeva che i colpi inferti alle catene si sarebbero magicamente trasmessi al corpo della persona malevola inducendola a più miti consigli, o a disfare il maleficio.
Un altro metodo, assai meno gradevole per le mucche, consisteva nell’arroventare al rosso le catene e nell’appoggiarle velocemente sul collo o alla groppa della povera bestia, sospetta vittima del maleficio. Questa riportava delle ustioni, ma la strega responsabile del maleficio se la vedeva anche peggio perché avrebbe riportato sul suo corpo gravi ustioni. All’origine di questi metodi di “trasferimento a distanza” vi è la convinzione – radicata nel pensiero magico – che il contatto lasci sulla cosa parte dell’energia della persona che l’ha toccata: in questo caso, la mano della strega che ha toccato la mucca per produrre il maleficio. Agendo su quella parte di energia residua, la quale contiene in sé una parte del “doppio” animico della persona, può agirsi sulla persona stessa. La medesima convinzione motiva l’uso a fini magico-negativi, diffuso in ogni cultura, degli indumenti usati, di capelli, unghie e secrezioni corporee della vittima: veicoli privilegiati in quanto contengono la sua energia specifica.
CATENA PER LE VACCHE
TSÉA
USO: per tenere, nella stalla, i bovini legati alla mangiatoia
DESCRIZIONE: catena forgiata artigianalmente; la barretta che serviva ad assicurarla al collo della vacca è lavorata a tortiglione e termina con due piccoli ganci ornamentali
PROVENIENZA: Valtournenche, Crétaz. Proprietà: Ivonne Barmasse
MISURE: l. max. cm 76; l. delle due catene da collo cm38 c.u.; l. della catena per la mangiatoia cm 38; l. delle barrette cm 13,5
CONSERVAZIONE: buona /… /…
2A1-1: 1 dis8 pag45
La stalla - Catene per le vacche