La lavorazione del formaggio

La cagliatura.
Appena munto, il latte viene riscaldato attorno ai 35°; raggiunta questa temperatura, viene aggiunto il caglio (lo cal) per preparare la fontina. Per ricavare il caglio naturale (lo cal) il vitello veniva alimentato unicamente col latte della madre e gli si metteva sul muso una speciale museruola. L’abomaso (lo cal) del vitello era fatto essiccare; il caglio secco veniva diviso in due o tre pezzi che venivano introdotti ciascuno in un fiasco contenente acqua e sale. Quando i pezzi si erano completamente disciolti, il caglio era pronto. Per la sua qualità, era molto ricercato il caglio svizzero e i contrabbandieri di Zermatt provvedevano a rifornirne a caro prezzo gli alpeggi di Valtournenche. Al momento di versare il caglio, col mestolo o con l’agitatore di legno, si traccia una croce sul calderone colmo di latte, oppure si versa il caglio in croce per propiziare una cagliatura ottimale del latte che fattori magico-negativi potrebbero impedire.

Quando il caglio ha agito sull’intera quantità del latte, l’esperto nell’arte di far formaggio – lo freté – che sovrintende tutte le fasi della lavorazione, agita a fondo la massa cagliata usando la modda: un lungo agitatore di legno. Mediante l’agitazione continua e prolungata, la massa viene ridotta a piccoli grumi. L’operazione è detta “róntre la caillà: frantumare la cagliata” Mantenendo il calderone sul fuoco e continuando l’agitazione, il contenuto acquisisce la giusta densità.

A questo punto, togliendo il calderone dal fuoco, la cagliata è versata in un secondo calderone sul quale, a mo’ di filtro, è stata legata una forte pezza di tessuto di lino a trama grossa, detto “la foda”, attraverso il quale filtra il latticello (la léquià) da impiegare per la lavorazione degli altri tipi di formaggio.